29 giugno 2007

La sfida dell'estate

Due sono i libri che questa estate si contenderanno il primato di summer-seller no global italiano.
Si tratta della raccolta di racconti horror/noir di Flavio Ignelzi "Cuore e sangue, prima di tutto" e del romanzo sci-fi "Due punto zero" di Ferdinando Carcavallo.

Di certo i lettori avranno motivo di rimanere incollati alle pagine dei due volumi, sia per i brividi lungo la schiena procurati dalle storie gotiche del primo titolo, che per il coinvolgimento emotivo provocato dalle avvincenti teorie cospirative del secondo.

Elemento comune dei due libri, per altri aspetti molto diversi, è l'ironia con la quale i due giovani scrittori interpretano generi solitamente seriosi, e che rende la lettura ancor più indicata per queste calde e rilassanti giornate di vacanza.
Quindi, qualunque sarà la scelta, ci sarà da divertirsi sotto gli ombrelloni, sulle barche ormeggiate o sulle panchine nei parchi delle città deserte.

Sicuramente, in questa sfida a colpi di inchiostro, sarà l'editore on-line Lulu il vero vincitore, visto che entrambi i libri sono venduti in esclusiva sul portale POD più utilizzato (ed efficiente) attualmente sul mercato.

Buona lettura a tutti.

Due punto zero
di Ferdinando Carcavallo
Lulu 2007, €9,99
Cuore e sangue, prima di tutto
di Flavio Ignelzi
Lulu 2007, €7,40

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Kill Bill 3 e 4

Quentin Tarantino girerà ben due sequel di “Kill Bill”.
Ne dà notizia il produttore esecutivo Bennett Walsh, che specifica che nel terzo episodio Black Mamba dovrà vedersela con la vendetta di due personaggi visti nei primi episodi con i quali la Sposa è in debito di un braccio (Sophie/Julie Dreyfus) e un occhio (Elle/Daryl Hannah). Nel quarto episodio sarà ancora la vendetta protagonista, stavolta delle figlie dei killer uccisi da Beatrix.
Il sito Moviehole, che ha dato la notizia per primo negli USA, raccomanda però i fan di non entusiasmarsi troppo presto, visto che Quentin impiega solitamente circa cinque anni nella realizzazione di un film e che prima di questi sequel in cantiere c'è già "Inglorious Bastards".

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26 giugno 2007

La volpe a Ischia

Caccia alla Volpe (After the Fox) è un film di Vittorio de Sica del 1966 con Peter Sellers, Britt Ekland, Victor Mature e Paolo Stoppa. Appartenente al periodo decadente - secondo i critici - del regista ciociaro, Caccia alla volpe è una commedia divertentissima scritta e sceneggiata da Neil Simon. Inevitabilmente, vista la presenza di Sellers, il ritmo delle scene ricorda molto Billy Wilder, il quale a sua volta si rifaceva spesso alla commedia all'italiana. La trama racconta del geniale ladro Aldo Vannucci, detto la Volpe, che per portare a termine un colpo si finge regista (con il nome allusivo di Federico Fabrizi) e simula un set neorealista sulle spiagge di un paese di pescatori, coinvolgendo nel sogno hollywoodiano tutta la popolazione (sindaco e forze dell'ordine compresi) e il maturo divo americano Tony Powell.

Peter Sellers ha tutto lo spazio di cui necessita per esprimere il suo talento istrionesco, pur senza occupare completamente lo schermo. Sono godibilissime le caratterizzazioni di Stoppa, Tino Buazzelli e Lando Buzzanca, e della bellissima Maria Grazia Buccella (l'unica doppiata nella versione americana).

Nel film compare anche Vittorio de Sica nella parte di se stesso vittima di un furto della Volpe. Le musiche sono di Burt Bacharach (Piero Piccioni nella versione italiana), il che ci fa pensare ad un investimento non indifferende della MGM di allora.

Stasera alle 21.00 il film sarà proiettato nell'ambito dell'Ischia Film Location a piazza Sant'Angelo a Serrara Fontana (Ischia), in quanto De Sica scelse proprio la spiaggia dei Maronti per le scene della realizzazione dello sgangherato finto film di Federico Fabrizi.

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25 giugno 2007

23 giugno 2007

E adesso tutti a Ischia!!

di Ferdinando Carcavallo

Comincia oggi l'Ischia Film Location, il festival del cinema "no global" che per la sua quinta edizione ha deciso di cambiare legermente il nome specificando esplicitamente l'interesse della manifestazione per le location cinematograiche e il cineturismo. Quello che contraddistingue l'IFL dagli altri tantissimi festival, che proprio in questi giorni impazzano nella sola regione Campania, è il fatto che l'isola si trasformi per una settimana in un enorme e bellissimo multiplex naturale, del tutto gratuito e per niente contaminato dalla mondanità inopportuna che di solito è inevitabile in queste occasioni.
L'Ischia Film Location si concentra sul cinema (opere, autori) con particolare riferimento al rapporto che questa arte allaccia con le località in cui i film vengono realizzati.
In un periodo in cui il modo di fare cinema sta cambiando radicalmente, dal punto di vista tecnico e non, in cui le location virtuali sono più economiche e adattabili di quelle naturali, c'è il rischio che un cinema come quello italiano perda la sua valenza paesaggistica (nel senso buono). Non a caso una manifestazione come questa viene allestita nella località italiana con la più grande concentrazione di film girati.
Oltre alle tavole rotonde sul cineturismo, quest'anno sarà presente al Festival Giuseppe Papasso, autore di uno dei più interessanti Dizionari del cinema Italiano che racoglie i titoli proprio in base alle regioni d'Italia in cui sono stati girati.
Padrini di questa edizione saranno Mario Monicelli e Giuliano Montaldo, mentre si alterneranno nelle varie location dell'Isola Kristoff Zanussi, Arnoldo Foà, Osvaldo Desideri, Andrea Rizzoli e Antonella Stefanucci.

http://www.ischiafilmfestival.it/

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22 giugno 2007

Who watches the Watchmen?

E' dal 2005 (grosso modo) che il progetto sul film tratto dalla saga a fumetti di Alan Moore e Dave Gibbons vive momenti contraddittori. Inizialmente fu annunciato per il 2006 con la partecipazione di Keanu Reeves e ottimisticamente fu avviata anche un'azione di marketing su web (il sito www.watchmenmovie.com oggi rimanda a quello della Paramount). Oggi, pare che tutto sia pronto per poter dire che nel 2008 ci sarà nelle sale l'atteso Watchmen movie diretto da Zack Snyder, che dopo 300 si è conquistato un nome nella rosa dei registi di cinecomics d'autore.
Su IMDB i pochi nomi presenti per il cast sono tutti segnalati come "rumored", ossia niente di ufficiale ma poco più che voci di corridoio. Per il momento si tratta di Jude Law (Ozymandias), Patrick Wilson (The Night Owl) e John Cusack.
Nel ping pong con la Marvel il film di Snyder potrebbe segnare un bel colpo per la e DC Comics, anche se la casa editrice di Stan Lee ha in cantiere progetti ben più concreti e di sicuro impatto come Iron Man e il secondo Hulk, e si vocifera anche di un Thor in preproduzione e un Capitan America scritto da David Self.
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21 giugno 2007

Napoli film festival: bilanci e distrazioni

di Ferdinando Carcavallo

Positivissimo il bilancio della nona edizione del Napoli Film Festival consclusosi ieri al cinema Filangieri. Molti gli ospiti illustri, e per fortuna molti italiani come è giusto che sia. Interessantissimi gli interventi dei Fratelli Coen, la retrospettiva su Ozpetek, le iniziative annunciate da Michele Placido e i programmi della kermesse per il futuro come il sodalizio con il Comicon (ma a proposito, non si era detto che lo si voleva portare via da Napoli?).
Eppure qualcosa è mancato a questo festival, e quasi mi vergogno a dirlo. E' mancato qualche nome tra i tanti celebrati, sia a proposito del cinema italiano che della città che ha ospitato la rassegna. E' passato di mente agli organizzatori che qui, quaranta anni fa, è morto un attore di nome Totò che ad oggi è il più grande rappresentante del cinema comico italiano di tutti i tempi oltre ad essere l'ultima icona orgogliosa della città di Napoli.
Cambiando decisamente livello, poi, magari valeva la pena anche ricordare un altro personaggio scomparso da poco che, piaccia o no, ha rappresentato a pieno un sottogenere cinematografico italiano. Mario Merola negli anni '70 e un po' di '80 è stato protagonista di una ventina di film popolari di successo locale ma non solo. Non dico una restrospettiva con tavola rotonda su Napoli serenata calibro 9 o Carcerato, ma almeno un applauso a Marittiello lo potevamo fare. Ci fosse stato Tarantino, lui l'avrebbe sicuramente ricordato.
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Franco Fabrizi (1926-1995)

di Ferdinando Carcavallo

Forse a causa dell'omonimia con il grande Aldo, Franco Fabrizi oggi non viene ricordato come meriterebbe come protagonista dell'epoca d'oro del cinema italiano.
Fu Federico Fellini nel suo capolavoro I vitelloni a dipingergli il peronaggio di belloccio debosciato e fannullone, simpatico e vigliacco che in qualche modo Fabrizi ha interpretato per tutta la sua carriera artistica.
Eppure i suoi esordi lo vedono vestire negli anni '40 i panni di un coraggioso e fascinoso capo indiano nel fotoromanzo "Arizona Kid" sul settimanale "Avventuroso Film", una sorta di Sceicco Bianco felliniano.
Dopo Fellini arrivarono Antonioni, Germi e Zampa che lo utilizzarono moltissimo come una sorta di Cary Grant di provincia. Dotato di un aplomb più francose che italiano, non fu mai protagonista di storie, ma sempre coprotagonista o ottima "spalla" di grandi mostri come Sordi (Una vita difficile) e Franca Valeri (Gli onorevoli).
Le sue ultime apparizioni di rilievo sono ne Il piccolo diavolo di Benigni e Grandi magazzini, il cinepanettone anni '80 in cui Fabrizi fa una piccola apparizione nell'epilogo dell'episodio di Pozzetto interpretando un ricco industriale gay in pena d'amore.

La scheda IMDB
La scheda Wikipedia

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20 giugno 2007

I fratelli Coen al Napoli Film Festival

Gli ospiti d’oltreoceano si sono raccontati davanti a una sala gremita di spettatori, dopo la proiezione in anteprima nazionale di un estratto del loro ultimo film presentato a Cannes, No Country for Old Men, tratto dal romanzo omonimo del Premio Pulitzer Cormac McCarthy.
I registi hanno dichiarato di non aver mai parlato con lo scrittore a proposito dell’adattamento cinematografico del suo romanzo: “Abbiamo incontrato McCarthy prima e durante la lavorazione del film, ma non ci interessava parlargli del nostro film, e abbiamo dato per scontato che non interessasse nemmeno a lui”.
I Coen hanno parlato anche dei loro prossimi progetti: “Il primo film sarà una commedia ambientata a Washington con un cast di attori famosi - Frances McDormand, Brad Pitt, John Malkovich, George Clooney. Il secondo progetto invece è un film su una comunità ebraica, ambientato nel MidWest, i primi 10 minuti saranno parlati esclusivamente in yiddish, e ingaggeremo attori non famosi.”
Riguardo al rapporto con i generi cinematografici, è Joel a rispondere: “Non classifichiamo i nostri film in base ai generi, quando iniziamo a scrivere una sceneggiatura ci domandiamo, genericamente, che tipo di film abbiamo in mente di fare. Pensandoci ora, quello che probabilmente ci ha attirato del romanzo No Country for Old Man, è proprio il suo declinare il genere noir in modo insolito.
Frances Mc Dormand ha raccontato invece di come è lavorare con il marito e il cognato: “Adoro lavorare con loro, possiamo utilizzare un linguaggio domestico, e poi è uno dei modi migliori in cui Joel flirta con me. E sono sicura che non lo fa con nessun’altra”.
Frances ha aggiunto anche: “Non hanno mai chiesto la mia opinione su una sceneggiatura, ma anche in caso contrario non saprei cosa dire. Io faccio il mio lavoro, e loro sanno molto bene come interpreterò qualsiasi personaggio che mi affidano.”
I Coen hanno inotre confermato di essere anche i montatori dei propri film (sotto lo pseudonimo di Roderick Jaynes). Ethan ha confessato infatti: “Non utilizziamo i nostri nomi perché già compaiono molto nei credits e attribuirci anche il montaggio ci sembra di cattivo gusto.” E Joel aggiunge: “Solo da tre anni abbiamo smesso di montare con la moviola, non troviamo più persone in grado di farlo. L’unico che monta ancora in questo modo è Ken Loach, ma ha assistenti ultraottantenni”.
La McDormand ha raccontato anche di come è stato ricevere un premio Oscar: “Quello che conta è il lavoro. L’Oscar è una statuina molto carina che ho messo fra due vasi di ceramica… La festa poi non è particolarmente bella, e la cerimonia non rende affatto in tv.” Ethan però adora guardarla, aggiunge Joel. L’attrice sarà impegnata prossimamente in un commedia a Broadway, di cui è prevista anche una trasposizione cinematografica.
Riguardo invece all’idea di girare un film a Napoli, i Coen hanno ammesso di non riuscire a pensare a storie che non siano prettamente americane, ma la McDormand ha aggiunto: “Se qualcuno mi ingaggia sono disposta a interpretare una muta in un film ambientato a Napoli”.
E a tal proposito i Coen hanno ricordato anche un loro incontro con Mastroianni: “Lo abbiamo conosciuto dieci anni fa, e ci chiese se potevamo prenderlo per un nostro film, gli sarebbe piaciuto interpretare la parte del vecchio italiano”.

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16 giugno 2007

Ozpetek a Napoli: Troisi lo chiamava "verza"

Gli inizi sul set con Massimo Troisi, la genesi di Cuore Sacro, il suo lavoro "corale" con gli attori sul set. Ferzan Ozpetek sbarca al Napoli Film Festival, prima rassegna in assoluto a dedicargli una retrospettiva completa, e parla del suo cinema a 360 gradi. Il regista incontrando la stampa napoletana ha accennato al suo nuovo film che inizierà a girare a ottobre: "E' la prima volta che non giro un film nato da una mia idea, ma sarà tratto da un libro. Sto lavorando in questi giorni alla sceneggiatura". Ozpetek poi ha ripercorso i suoi inizi assistente voltonatio alla regia di Massimo Troisi per Scusate il ritardo, nel lontano 1982: "Mi chiamava Verza, non si ricordava mai il mio nome... Durante quell'esperienza ho capito davvero che cos'è il cinema". Pensando a Napoli, Ozpetek ha rivelato che Cuore Sacro doveva essere ambientato a Napoli "ma non volevo mostrare i luoghi poveri della città e mi sono reso conto che per farci un film dovrei viverci almeno un anno. Napoli è una città che mi stupisce sempre moltissimo, ogni volta che ci vengo".
Ricordando i suoi modelli, Ozpetek cita poi Vittorio De Sica, che è stato fondamentale per la sua formazione e che per lui è un genio assoluto.
Regista di emozioni e passioni forti, Ozpetek a proposito di cosa il cinema significa per lui ha dichiarato: “Per me girare un film e condividere con il pubblico le emozioni che suscita è la cosa più bella al mondo”. Il regista offre anche un saggio del suo metodo di lavoro: “Quando giro, voglio che tutti si sentano coinvolti a pieno. Faccio una lettura condivisa con tutti della sceneggiatura e voglio che tutti sentano che il film è anche il loro”. E a chi gli chiede cosa ci voglia per diventare registi, risponde: “Registi si nasce. Il talento ce l'hai dentro, non è una cosa che si impara”. L'incontro poi si è chiuso con una citazione di Elio Petri, che Ozpetek ha conosciuto negli ultimi anni di vita: “Tutto quello che facciamo nella nostra vità è per allontanare l'idea di morte”.
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07 giugno 2007

KinemaZOne nel fantastico mondo di Luca Enoch

Intervista di Ferdinando Carcavallo e Flavio Ignelzi

È un artista poliedrico, in grado di gestire completamente una serie a fumetti. E’ in uscita il suo nuovo progetto Bonelli (il fantasy Dragonero, in coppia con Stefano Vietti). Si chiama Luca Enoch e, prima di consigliare la lettura delle fantasiose avventure che ha scritto e continua a scrivere (correte a comprare Gea, Sprayliz, Legs Weaver, Morgana...), KinemaZOne è riuscito a farsi raccontare un po’ di lui, di cosa fa, di come lo fa, del panorama tricolore delle nuvole parlanti visto da dietro le quinte. Cominciamo a conoscerlo meglio, aspettando che si faccia corteggiare dalla settima arte, magari in una ipotetica versione cinematografica di Gea by Katsuhiro Otomo...


In un'intervista di un anno fa Carlo Lucarelli mostro' apprezzamento per Gea manifestando anche un certo disappunto per il "paradigma bonelliano" secondo il quale un fumetto, per essere vincente, non deve essere ambientato in Italia. In questo tu sei abbastanza atipico, in quanto la tua Gea vive in un contesto (o meglio livello di esistenza) apolide o, se vuoi, globale. I suoi amici hanno nomi Italiani, inglesi e asiatici ed ascoltano Springsteen, Manu Chao e Madreblu. Come mai questa scelta?
Il famoso “paradigma Bonelliano” ha anche un’altra ragione d’essere. Se l’azione, l’ambientazione della storia e le frequentazioni dei personaggi sono “altri” rispetto alla nostra realtà si ottengono tutta una serie di facilitazioni di non poco conto: lo sceneggiatore non deve essere fedele a una realtà sotto gli occhi di tutti e non si espone a critiche di mancanza di verosimiglianza; il disegnatore non è costretto a spaccarsi la testa per ritrarre fedelmente l’ambiente; l’editore non espone il fianco a critiche di parte perché la finzione non riguarda il nostro paese, la nostra città o le persone che ci vivono a fianco. Lavorando per Bonelli anch’io ho adottato questo schema ma, del resto, anche la mia "Sprayliz", scritta e disegnata in totale indipendenza, era ambientata in un contesto nordamericano da telefilm. Comodità nella scrittura e facilità nell’esecuzione. Comunque, sia in "Gea" che in "Sprayliz", sono sempre riuscito a parlare dei fatti nostri anche in altri contesti.

Il mondo in cui si muovono Sprayliz e Gea è un mondo in cui le minoranze (etniche, sociali e sessuali) convivono in maniera molto disinvolta con le maggioranze. E' anche questa una sorta di "Utopia" oppure c'è un intento pedagogico, nel senso che speri che i tuoi lettori (spesso giovani) imparino da Gea le regole dell'armoniosa convivenza?
Io che insegno agli altri l’arte della convivenza? Ma se qualcuno mi si avvicina troppo in strada o sul bus io mi ritraggo tipo anemone marino… Forse in "Sprayliz" questo vivere armoniosamente assieme era vero ma comunque io partivo da una società multietnica (quella nordamericana) per poi passare ad altro. New York all’epoca aveva veramente un sindaco nero e le coppie miste erano una realtà consolidata. La disinvolta convivenza (anche sessuale) era un aspetto che coinvolgeva in primo luogo la protagonista e il suo piccolo universo che le ruotava attorno. In "Gea" le minoranze – rappresentate simbolicamente dagli alieni migranti - invece non vivono poi così bene con la maggioranza; sono perseguitate e devono nascondersi.

In America oggi i comics sono la principale fonte di ispirazione per il cinema. In Italia non è mai stato così (Diabolik di Bava è l'unico esempio di adattamento di successo). Credi che siano i nostri fumetti ad essere poco cinematogtrafici oppure è il nostro cinema ad essere indifferente alla cultura pop?
Il fumetto in Italia è narrativa di serie B. Mai luogo comune è stato così vero e radicato nella mentalità di gente, quali gli italiani, che nella stra-grande maggioranza sono analfabeti di ritorno che non leggono nemmeno un libro all’anno. Da "Sprayliz "potrebbero tranquillamente tirare fuori una bella fiction, che farebbe imbufalire le C.E.I. , inalberare De Corato e Gasparri, prendere le distanze da Rutelli e provocare serie e attente riconsiderazioni da parte del CdA della RAI. Certo, a meno che non si trattasse di un formato Endemol.

Hai mai pensato (sicuramente si, viste le tue numerose citazioni cinefile) ad un adattamento di animazione o fiction per Gea?
Non la vedrei molto bene come riduzione cinematografica; temo l’effetto “Buffy” e quindi del già visto. Ma come lungometraggio animato sì! E, sebbene adori Miyazaki, avendo budget illimitato affiderei il malloppo a Katsuhiro Otomo.

Ricordi ancora i primi soldi guadagnati disegnando?
E come no? Grande iniezione di autostima! Faccio quello che mi piace fare e mi danno pure dei soldi… il massimo. I miei primi guadagni onesti però non erano frutto del fumetto ma dell’attività di illustratore e grafico.

Si puo' vivere con i fumetti oggi in Italia?
Solo se lavori per Bonelli o Disney, le uniche case editrici in Italia che possono produrre storie di qualità dando un compenso più che adeguato ai realizzatori. O se azzecchi, cosa più difficile, una serie blockbuster in Francia, ad esempio; allora le royalty ti sotterrano di euro.

Com'è la situazione dei comics in Italia?
Un grande “BOH?”. Di certo c’è un calo costante di vendite anche nelle testate più solide che non ho idea a cosa potrà portare.

Come mai i nostri fumetti periodici, a differenza degli americani, sono sempre in bianco e nero ? Si tratta di una questione stilistica o ci sono altre motivazioni?
Io sono cresciuto con i fumetti in b/n, tanto da identificare il vero fumetto con il monocromatismo. Da Alex Raymond a Zanotto, da Magnus a "Charlie Brown" i fumetti non sono mai stati a colori, per me. "Topolino" lo apprezzavo di meno di "Alan Ford". Adesso stanno ricolorando "Bone" ma lo vogliamo mettere con la prima edizione in b/n?

Te lo avranno chiesto in tanti, ma come mai i protagonisti delle tue storie sono esclusivamente donne ?
È una cosa genetica. Ho pure due bambine, Isabella ed Elena. Non si sfugge al cromosoma XX!

Tu per Gea hai scelto una periodicità abbastanza singolare. In 8 anni sono usciti 16 episodi completi. E' perchè vuoi concedere ai tuoi lettori del tempo per assimilare le storie oppure hai paura che un impegno costante possa portarti ad una assuefazione al personaggio?
Non è stata una scelta ma una necessità. Bonelli voleva farmi realizzare una serie interamente autogestita. Storia e disegni. Oggi sono riuscito a consolidare una produzione mensile di 25 tavole. Quindi dieci mesi all’anno per disegnare due storie di 125 tavole e due mesi scarsi per scriverle e sceneggiarle. Totale quasi dodici mesi all’anno. Ci avanza giusto una settimana di vacanza.

Di prossima pubblicazione per la Bonelli c'è Dragonero, graphic novel realizzata in collaborazione con Stefano Vietti e Giuseppe Matteoni. In che rapporto questa nuova creatura è con i tuoi precedenti lavori?
I romanzi avrebbero dovuto essere un nuovo format all’interno di una casa editrice come la Bonelli, specializzata in serie con personaggi ricorrenti. Stefano e io sentivamo la necessità di raccontare storie che avessero una conclusione, senza la necessità di riproporre i personaggi nella storia successiva. One shot, quindi. Ambientazioni e generi “altri” rispetto a quelli che si potevano trovare nelle serie classiche bonelliane.



Nota: grazie all'amico Luigi Diomaiuti per la consulenza.
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05 giugno 2007

Ischia Location Film Festival a giugno con Monicelli e Montaldo

Sarà Mario Monicelli, padre fondatore della grande commedia all’italiana e tra i più grandi registi italiani, uno degli ospiti d’onore della quinta edizione dell’Ischia Location Film Festival, in programma dal 24 al 30 giugno prossimi.
All’autore di un cinema che in sessant’anni di carriera ha osservato e descritto la società italiana con occhio attento e disincantato, al maestro di quella comicità venata dall’amarezza per il tempo perduto, e dalla speranze troppo presto risoltesi in delusioni, al cineasta che ha saputo rappresentare sul grande schermo, con indomito cinismo (ma anche un pizzico di umanissima malinconia) vizi e difetti degli italiani, sarà reso un omaggio in una delle serate speciali della kermesse, nella quale verrà proiettato il suo ultimo film “Le rose del deserto”.

Oltre al maestro del cinema per eccellenza, l'ILFF vedrà tra i suoi ospiti anche Giuliano Montaldo, autore di un cinema che per lungo tempo ha osservato e raccontato tutti i cambiamenti e le difficoltà dell’uomo a contatto con una società in continua evoluzione e incapace di accettarlo Il Ciak di Corallo gli sarà consegnato nel corso della cerimonia conclusiva della quinta edizione del Festival. Un omaggio con una retrospettiva si svolgerà al Castello Aragonese dal 25 al 28 Giugno.
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04 giugno 2007

Il grande capo

di Ferdinando Carcavallo


Ogni film di Lars Von Trier è una storia a sè, per quanto il suo tocco registico sia riconoscibile in ogni fotogramma.
Questa commedia aziendale, ad esempio, è un film da visione Home Video. Non credo che avrei apprezzato l'opera allo stesso modo andandolo a vedere al cinema.

Il proprietario di una piccola azienda software danese vuole vendere l'azienda a un compratore islandese calpestando i diritti e le aspettative dei dipendenti che si ritroveranno in mezzo ad una strada e senza un soldo. Come fatto in passato per altre scelte impopolari, il cinico imprenditore vuole far ricadere le colpe su un fantomatico predisente fantoccio per l'occasione affidato all'interpretazione di un attore disoccupato.

Come in un gioco di scatole cinesi, i dipendenti della piccola azienda danese sono pedine di un grande capo finto che in realtà risponde, assieme a tutti gli altri, alle strategie di un "grande capo del grande capo" che altri non è che il regista del film (grazie a Pasquale per l'analisi).
Il grande capo, quindi, è un grande fratello sia nell'accezione nobile puramente orwelliana che in quella più prosaica da reality show. Il film stesso è un reality. Le telecamere sono fisse, le inquadrature quasi mai centrate, i dialoghi spesso accavallati e la musica assente.
Von Trier ci regala, come in passato, opere dalla regia assente ma per niente distaccata. Il suo gusto per il non esserci ricorda un po' il Moretti di Ecce Bombo che si chiedeva se ad una festa sarebbe stato notato più per l'assenza che non andandoci e rimanere in disparte.
Senza farsi troppe elucubrazioni analitiche, come suggerisce lo stesso Von Trier ad inizio film, conviene godere della visione de "Il grande capo" come siamo soliti fare per una commedia, magari quelle fantastiche commedie degli equivoci di Frank Capra o Billy Wilder, con tanto di lieto fine e deviazione teatrale nel finale.
E come in una commedia non mancano occasioni di divertimento, soptrattutto nelle esternazioni violente del compratore razzista e xenofobo che insulta i danesi tramite il suo compiaciuto interprete.

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